La modifica della legge sull’aborto allontana la Spagna dall’Europa

La volontà del Governo spagnolo di modificare la legge sull’aborto, nella parte che imporrebbe nuovamente alle donne di giustificare la loro decisione, allontana la Spagna dall’Europa. Germania, Olanda, Grecia. Tutti questi Paesi (ed altri) disciplinano la materia da decenni con leggi sul termine massimo. Un regolamento vigente anche in Spagna che dà alla donna un periodo – generalmente tra le 12 e le 14 settimane iniziali della gestazione – per decidere in maniera autonoma, senza l’obbligo di fornire spiegazioni. Con la decisione di togliere questa possibilità da parte dell’esecutivo di Mariano Rajoy, sostenuta dalla teorica difesa della maternità e dei diritti dei non-nati, la Spagna sarebbe l’unico paese in retrocessione verso formule più restrittive. Il Ministro della Giustizia, Alberto Ruíz-Gallardón, la settimana scorsa ha dichiarato che esiste una “violenza di genere strutturale” che impone alle donne di abortire. Se la riforma di Gallardón continuasse, la Spagna si vedrebbe superata dalla cattolica Irlanda, uno dei paesi in cui questa prestazione è maggiormente limitata, che tuttavia mostra segni di apertura.

Tornare ad un sistema di giustificazioni come quello in vigore tra il 1985 ed il 2010, quando interrompere la gravidanza era un reato ed era permesso solo in caso di stupro, malformazione del feto o rischi per la salute della madre, riporterebbe la Spagna ad un’epoca in cui l’aborto non era considerato un diritto e la donna poteva farlo solo sotto la tutela del medico. La presidentessa della Comunidad di Madrid, Esperanza Aguirre, l’ha detto chiaro e tondo qualche giorno fa “l”aborto non è un diritto, è un fallimento”.

Il cambio che si prospetta in Spagna è stato evitato da altri Governi conservatori, come in Portogallo o in Italia. Solo l’Ungheria, con l’ultradestra di Viktor Orban al potere ha inscenato una mossa simile quando modificó la Costituzione, per accogliervi il fatto che la vita “deve essere protetta dal suo concepimento”. L’articolo apre le porte ad una futura riforma repressiva della legge sull’aborto (permesso fino alla settimana n.º 18). Qualcosa per cui tuttavia, secondo Orban, il paese “non è preparato”.

“Altri Stati, nonostante non siano arrivati ad intraprendere il percorso che la Spagna sta iniziando, hanno cercato di limitare in vari modi l’interruzione volontaria della gravidanza”, spiega Irene Donadio, esperta della Federazione Internazionale di Pianificazione Familiare (IPPF European Network), organizzazione che lavora per i diritti sessuali e riproduttivi. Si riferisce per esempio alla Lituania o alla Lettonia, i cui Parlamenti hanno votato leggi per restringere il periodo di tempo legale (fino alla dodicesima settimana). Non hanno continuato. E nemmeno in Polonia ha avuto molto successo il piano di ulteriore irrigidimento della legge già di per sè molto limitata.

Scelte che lasciano inascoltate, oltretutto, le raccomandazioni di organi come il Consiglio d’Europa, che da anni reclama il riconoscimento dell’aborto come un diritto in tutti i Paesi; o l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), che mette in guardia sul più alto numero di interventi in paesi con legislazioni più restrittive. “Le leggi che limitano e criminalizzano l’aborto non frenano le persone che ne hanno bisogno”, dice la parlamentare britannica demoliberale Jenny Tonge. “Continueranno ad abortire, ma in forma clandestina ed insicura”, aggiunge. La Tonge è una dottoressa, che prima di occupare il suo scranno si è dedicata a temi di pianificazione familiare, spiega che le donne trovano altri mezzi per farlo: “dall’introdursi oggetti o sostanze nella vagina, ad autolesionarsi o ingerire farmaci”, assicura. Solo quelle che possono permetterselo – come facevano alcune spagnole prima della depenalizzazione, viaggiano a paesi con leggi in cui è tutelato. Circa 6000 irlandesi ogni anno vanno nel Regno Unito per mettere fine alla loro gravidanza, secondo una relazione ancora inedita del IPPF, che analizza la situazione dell’aborto nell’Unione Europea. Questo può arrivare a costarle tra gli 800 e i 1200 euro.

L’Irlanda è, dopo Malta, dove l’aborto è proibito, il paese più restrittivo. Si permette solo nel caso in cui la donna corra un “grave e sostanziale rischio”. Un pericolo che non si specifica in nessun regolamento e la cui interpretazione rimane a carico del medico. Nel docembre 2010 il TribunaleEuropeo dei Diritti Umani di Strasburgo ha condannato l’Irlanda ad indennizzare per 15 mila euro una donna, malata di cancro, alla quale fu negato l’aborto terapeutico. La paziente fu obbligata a recarsi nel Regno Unito.

Ora il Governo irlandese, successivamente alla sentenza in cui il Tribunale ha criticato l’assenza di criteri legali per valutare il cosiddetto “rischio sostanziale” e le severe sanzioni a cui vanno incontro coloro che facilitino l’intervento, ha formato un comitato di esperti che studia come introdurre le raccomandazioni di Strasburgo. Denise Ryan, consigliera dell’organizzazione irlandese di pianificazione familiare  IFPA, crede che questo dibattito è un passo avanti. Nonostante questo, ricorda che non è la prima volta che qualcosa del genere accade e si risolva con un nulla di fatto.

Se alla fine la Spagna decidesse di allontanarsi dall’Europa, il governo dovrebbe decidere in che specchio guardarsi. Un modello atavico come quello irlandese? Gallardón assicura che il modello di “giustificazione” a cui vuole tornare “funziona nei grandi paesi occidentali”. Si riferisce forse alla Gran Bretagna o alla Finlandia, dove la donna deve addurre delle motivazioni per abortire. Le condizioni prevedono comunque il “rischio economico e sociale”, un criterio che di fatto permette l’aborto libero.

di María R. Sahuquillo,12/03/2012

http://sociedad.elpais.com/sociedad/2012/03/12/actualidad/1331527349_775641.html

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